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226 | dal vero. |
dida ed i guanti; va in campagna con la famiglia della sua innamorata, una modistina incantevole sotto un cappellino azzurro che ella stessa ha creato il sabato sera, per far onore al suo fidanzato.
Giorno di festa per la innumerevole massa degli operai, il loro giorno di luce, il loro giorno di sole. Sono le tappe del riposo, sono i punti fermi in questo rapido discorso della vita; è una settimana per un giorno solo, per ricominciare sempre daccapo, sino all’ultima sosta. Chiedete all’operaia della fabbrica del tabacco: vi risponderà che solo la domenica può pulire la casa da cima a fondo, agucchiare alla biancheria sdruscita, fare una visitina alla comare del bimbo, sentire la predica del vespro e rimanere la sera in riposo, guardando dalla stretta finestra il cielo che si cosparge di stelle e canticchiando una malinconica canzoncina della giovinezza. È la domenica che l’operaio intagliatore, arso dalla febbre del sapere, può andare alla scuola del disegno dove gli si apriranno i segreti dell’arte. Chiedete a quanti si curvano giornalmente sotto il peso di un lavoro faticoso e mal ricompensato, a quanti si nutrono di solo pane per sette giorni: tutti vi risponderanno che il loro conforto è il giorno del riposo, il giorno in cui possono distendere le membra irrigidite. Di domenica vi è un po’ di gioia dappertutto; si ride, si canta, si balla, si ama, si fa la carità, si è buoni, si è fiduciosi dell’avvenire: pare la nascita ad una nuova vita, il principio di un’epoca felice.
Quando ho pensato tutto questo, è entrato nel mio cuore il rimorso e lo sdegno. Ho chiesto a me stessa