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domenica. | 225 |
gono una veletta rosea sul volto che s’ingiallisce, cercano dimenticare il passato, ahi troppo lungo!, e sorridono all’avvenire. I vecchi mettono il forte e saldo soprabito che la nipotina ha spazzolato con cura, prendono il bastone col pomo d’argento, due fazzoletti nelle ampie tasche, la tabacchiera col tabacco fresco e vanno a passeggiare lentamente al sole, a quel sole che anima loro il sangue e lo fa scorrere veloce come vent’anni fa.
L’impiegato ha dato il sabato sera un giocondo a rivederci al protocollo, ai registri giornalieri ed al suo capo d’uffizio; la domenica egli è un uomo libero e felice. Può dormire un’oretta di più, senza timore di una multa o di una ammonizione; non porterà la livrea settimanale, cioè il peggior cappello, il peggior soprabito, le maniche di cotonina lucida e la penna dietro l’orecchio: non vedrà il viso affamato dell’usciere; non subirà l’economica colazione del caffè col panetto: è in casa sua, può fare quel che vuole, magari giocare a capinnascondere coi suoi piccini. Egli esce, passa con orgoglio davanti al suo ufficio, rivolgendo ad esso un’occhiata di superbo disprezzo, ritorna a casa con un cartoccino di chicche, con un mazzolino da un soldo per la moglietta, ricordi di quando facevano all’amore. E la giornata gli passa dolcemente, soavemente, con una beata lentezza, in un sorriso, confortandolo per la settimana di lavoro che lo attende. Il commesso di negozio non è più, la domenica, lo schiavo ossequioso del pubblico; diventa un giovanotto indipendente, prende cura dei suoi baffetti neri e della chioma riccia; porta una cravatta splen-