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216 | dal vero. |
deva di vista: il conte Riccardo Altimari, una di quelle figure dove la delicatezza si fonde con la fierezza, dove il sentimento completa ed esplica la linea, dove l’espressione anima gli artistici profili; una di quelle poetiche figure che sembrano sfuggite ad un quadro medioevale ed attestano la bellezza virile e pensierosa della razza italiana.
Ad un tratto una nota gaia vibrò nel vasto salone, una nota così lieta, così fresca, così squillante, che Laura ne provò un sussulto di gioia; era il preludio del waltzer che prorompeva nella sua allegra chiamata. Ed accanto a lei il conte che la invitava col semplice e lieve sorriso delle labbra; nè durante il vortice del ballo furono scambiate fra loro parole. Sibbene, nel congiungersi le due mani inguantate ebbero un piccolo fremito; il lungo strascico parve avesse avvolto nelle sue onde il bel cavaliere, nelle sue onde simiglianti a quelle perfide del mare; la musica sbuffava giocondamente in iscoppii di risa; i fiori sembravano coppe dove ardeva l’incenso del loro profumo; le gemme combattevano follemente di luce con le fiammelle dei lumi: quei due erano giovani, belli e felici nel turbine che li rapiva — e le bocche rimasero mute, mentre negli occhi si concentrava tutta la vita, tutto il godimento di quel rapidissimo istante. Si lasciarono silenziosi.