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l’uomo s’inchinava, cercava difendersi, faceva dei complimenti; per istanti un’ombra d’inquietudine gli si disegnava sul viso, pure la discacciava e continuava il discorso con molta disinvoltura: quei due obbliavano affatto la presenza della loro compagna. Ma essa li guardava a lungo, avvolgendoli nel fluido dei suoi occhi magnetici, li guardava senza dir motto, ma doveva soffrir molto; le occhiaie pareva che crescessero sempre più, fremevano lievemente le nari con un movimento impercettibile, tremava la mano abbandonata sul velluto rosso del davanzale, le labbra si stringevano; il viso, senza colorirsi, ardeva nel suo pallore.

Rivali dunque. Luisa — immaginai si chiamasse con questo nome gentile la bionda — amava quell’uomo con tutte le forze del suo cuore infermo e la sua bellissima amica glielo aveva preso o voleva prenderselo.

Era uno spettacolo dolorosamente ingiusto: da una parte la salute, la felicità, la bellezza, cioè una di quelle donne senza cuore e senza testa, che fanno il male senza pensarvi prima e senza pentirsene dopo, fredde trionfatoci, feroci ed egoiste, ebbre di vanità, liete di vincere un uomo, solo perchè, vincendolo, feriscono un’altra donna; dall’altra parte Luisa, cioè l’ideale realizzato della dolcezza e della bontà, ammalata, quasi distrutta dalla sua passione, umiliata da quella gloriosa rivale, incapace di lottare, incapace di vincere, Luisa che se ne moriva di quell’amore, di quel disprezzo: in mezzo un uomo affettuoso, ma debole, capace forse di due amori, trascinato senza dubbio da una corrente fatale. Era que-