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194 | dal vero. |
senza compassione, di ora in ora, di minuto in minuto. Era ammalata, buona, delicata, squisitamente sensibile ed innamorata; lo sguardo vagava errante, indeciso, ricercando qualcuno forse; sul petto due rose bianche e profumate si appassivano, morenti anch’esse di febbre e di amore.
L’altra, perfettamente in luce, sorgeva come una splendida manifestazione di bellezza. Sul capo altiero si attorcigliavano le masse nere dei capelli, lasciando libera una fronte audace; l’arco dei sopraccigli, tracciato nettamente, si distendeva su due occhi scintillanti; il colore lionato della pupilla era circondato da un cerchio gialliccio, bronzo circondato di oro, ma oro vivente, bronzo animato; il profilo severo, purissimo, era corretto dalla rosea trasparenza delle nari; le labbra schiuse come un frutto di melagrano, si rialzavano lievemente agli angoli con quel sorriso perenne delle figure perfette; il collo pieno, con un battito provocante di vita; il busto scultorio, un braccio modellato con vigore, delicato nell’attaccatura della spalla e del polso, terminato da una mano aristocratica. Vestita di velluto nero, scollata in quadrato, con una puntina di merletto bianco, senza maniche, come esige la moda, senza un nastro, senza un gioiello, ella pareva sollevarsi, slanciarsi candida e sorridente dal fondo bruno di un quadro: si sollevava, l’ho detto, come una superba emanazione di grazia, di beltà, di salute. Vi era in lei quella calma cosciente dei lineamenti che dev’essere la soddisfazione della forma in ammirazione di sè stessa; quella serenità immutabile, plastica, superiore, che è l’unico segno di