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188 | dal vero. |
ci vorrebbe una toccatina d’incenso, un ricordo di ascetismo, qualche citazione latina che abbaglia sempre chi comprende e chi no, qualche riflessione malinconica, qualche pizzico di poetico misticismo, qualche lagrima di Lamartine, qualche esclamazione dell’impaziente Giobbe, qualche versetto di quell’ipocritone di Davide; insomma quello che corre di questi giorni. Se apri un qualunque giornale, troverai la miscela detta di sopra, con qualche ingrediente di più o di meno; pure io potrei apprestartela specialmente per la tua pronta conversione. Solamente mi viene un sospetto: che tanto io, quanto gli innumerevoli scribacchini che un perfido destino creò per la disperazione dei contribuenti italiani, non abbiamo a perdere la fatica della copia conforme. Hai un volto troppo ridente, Lulù, per darci ascolto; tu pensi certo qualche cosa. Scommetti, che l’indovino?
Tu pensi che se è trascorso il mese delle feste, dura ancora l’epoca della lieta tua festa, la gioventù; pensi che dodici balli non hanno sciupato l’inesauribile tesoro del tuo vigore e della tua gioia; ti senti nel core, nella mente, nell’equilibrio delle facoltà morali con le potenze fisiche, il desiderio della vita piena e completa. Non pensi alla quaresima, fanciulla impenitente; forse che essa ti cambia, forse che essa lo cambia, forse che in questi giorni non siete sempre quelli dei giorni passati? È vero, tu devi dare un addio ai fiori, alle stoffe, ai veli, alle garze; ma vi è modo di piacere anche con un abito di seta nera ed un colletto di merletto bianco — perchè la quaresima non ha influenza su-