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alla decima musa. 173

chia; ed illumina in pieno i porcellini bianchi, dalle linee quasi eleganti, tenero, succoso e prediletto pasto delle signore e dei preti. Si cammina sempre e non si vede che carne — ed allora quell’odore di macello fresco, quel sangue rosso-bruno che gocciola, quei colpi di coltello netti, decisi, vi cagionano la malinconia, il disgusto: il trionfo della materia piena, grassa, pesante, sfacciata, sorridente della sua morte che è una novella vita, provocante e nauseante, finisce per ischiacciarvi. Pensate a quel lusso, a quel ribocco, a quella esuberanza, a quell’enormezza con un senso di paura — e ricercate con ansietà impressioni più miti.

Allora entrano in campo gli erbaggi, le verdure, i frutti, la fauna vegetale, il tributo della campagna, l’offerta delle pianure e dei boschi. I monticelli dei broccoli verdi, il cui fiore sembra un merletto rilevato, guardano con disprezzo l’umile e piccola cicoria, raccolta in gruppetti, su cui brillano le gocce dell’acqua; i cavoli bianchi, grossi e serrati, pare che vogliano scoppiare dal loro involucro di foglie verde-chiaro, mentre quelli neri si confondono coll’oscurità, quasi desiderosi di solitudine. L’ondulazione dei lumi, il passaggio delle persone e dei carri, il getto improvviso di un razzo, l’ombra che sovraggiunge, danno a questo spettacolo qualche cosa di fantastico: le proporzioni s’ingrandiscono, il senso della realtà si perde e vi sembra di camminare in mezzo ai prati di maggiorana e di trifoglio, fra due siepi di verdura, mentre in fondo, come orizzonte, si accende la fiamma gialla di una piramide di aranci, ricordo dei tramonti siciliani. Vi giunge al cervello