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dualismo. | 155 |
gentiluomo, innamorato, stirpe di principi: con lui la vita doveva essere una lunga ed inesauribile festa, una serie di giorni felici, sorridenti, senza mai l’amarezza del domani, senza un cruccio, senza un punto nero. Flavia l’amava; quando dalla sua carrozza ella lo vedeva passare sul cavallo inglese dalla testa svelta e dai garretti di acciaio, il cuore le si sollevava verso il bello ed elegante cavaliere: quando vedeva lo sguardo altiero di lui diventare amoroso mirandola, quando egli le parlava a voce sommessa, ella provava un fascino irresistibile. Leone era per lei tutto un mondo, un mondo elevato, superiore anche alla sventura, dove fossero la soddisfazione dei gusti più raffinati, la calma profonda e sicura della ricchezza, l’infinita e varia lusinga del lusso. Leone era la pace, la gioia tranquilla, la vita quieta. E nella certezza dell’amore di Leone essa cullava, addormentava il suo cuore.
Ad un tratto veniva rapidissimo il risveglio: tutto il suo essere dava in un grande sbalzo, scosso da una forza interna; si alzava, camminava, avrebbe voluto spezzare qualche cosa fra le mani, si sentiva la testa troppo piccola. Sorgevano pensieri tumultuosi e cozzanti fra loro, idee vaste ed ardite, un bisogno chiarissimo di agitazione, di attività, di combattimento. Allora intendeva quanto di sublime ha il silenzioso lavoro del poeta e del pensatore; comprendeva come l’arte possa essere l’unico supremo desiderio di un uomo, intendeva la sfrenata ambizione di gloria: essere in basso, essere povero, sconosciuto, perduto nella folla, atomo ignoto di una massa enorme, ed intanto guardare in alto, elevarsi,