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152 | dal vero. |
Anche la fanciulla si contentava facilmente: trovarlo esatto ai ritrovi, sempre il primo arrivato, ascoltare quelle dolci parole che egli sapeva dire così bene, vedergli all’occhiello il fiore simile a quello che ella portava nei capelli, imporgli ogni tanto qualche lieve capriccetto e vederlo ubbidire con un grazioso sorriso: ricevere quella corte semi-nascosta, squisita, deliziosa, che non le imponeva alcun obbligo. La gente attorno mormorava: Una bella coppia! I parenti non dicevano di no.
Nel caso di Flavia la fatalità si chiamava Everardo, ed abitava al quinto piano del palazzo dove dimorava anche essa. L’intelligente lettore avrà capito che si tratta di un poeta, ed è la verità; ma debbo aggiungere, per diminuire la cattiva impressione, che i suoi versi erano buoni, sebbene non fossero letti da alcuno. Egli apparteneva ad una classe che si trova numerosa in tutti i grandi centri: poichè in tutti i grandi centri giunge ogni anno una schiera di giovani buoni e volenterosi. Hanno la testa piena di maravigliose fantasie e di progetti stupendi, il cuore riboccante di affetti ed il borsellino poco riboccante di scudi; al povero e buon papà rimasto in fondo al suo paesello hanno promesso, chi di frequentare Cujacio, chi di presentarsi ad Euclide, chi di annodare stretta relazione con Tissot ed Orfila. Promesse; ma vengono i poetici allettamenti delle lezioni di letteratura, ci si mettono di mezzo le associazioni giovanili, i circoli letterari, le vivaci discussioni sull’arte; tutto questo fermenta insieme agli ardimenti dei venti anni. Allora... allora si forma la classe degli spostati e ne