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lettera aperta. 143


alcun pretesto per rimanere all’aperto, al solo lume delle stelle — fa fresco, bisogna starsene nel salotto sotto la sfolgorante luce del petrolio, a contare i sospiri e le occhiate. Eppure, se tu, o Vesuvio, volessi..... Oh! come saresti benedetto! Gli albergatori sono addirittura disperati: la compiacente Stefani si era benignata annunziare alle cinque parti del mondo che il vecchio vulcano si era finalmente deciso, e dalle cinque parti del mondo cominciavano a giungere gli amatori; l’inglese, genere che si va facendo rarissimo e difficile, abbondava sulla piazza; i corrispondenti arrivavano con l’inseparabile taccuino; qualche Altezza in istretto incognito era annunziata, e già i suddetti albergatori, col cuore immerso nei giubilo si preparavano a scrivere nelle loro note: Vue, par le fenêtre du Vésuve en éruption, 40 francs. Invece delusione grandissima; ed ora negli alberghi si potrebbero stabilire delle fabbriche di tamarindo concentrato nel vuoto.

Il professore Palmieri, tuo buono e fedele amico, che era venuto a farti una visita, è stato costretto a tornarsene via disgustato dalla freddissima accoglienza che gli hai fatta: non ti vergogni di tanta ingratitudine? Il sismografo arrossisce del suo forzato riposo; l’eremita crolla il capo, pensando alla caducità del genere umano, e le povere guide, assise sulla lava raffreddata come Mario sulle rovine di Cartagine, vanno melanconicamente esclamando: La montagna è morta, la montagna è morta!

È poi vero che sei morto? Sei forse diventato indifferente alle voci dei figli tuoi? È scetticismo