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Essa restò tutta confusa, senza saper rispondere.

— Fummo in Brianza — disse Guido — e di là non sono giunte ancora tutte le nostre robe.

— Quel ritratto avrebbe dovuto giungere prima di tutto. Non importa; Emma non può aver dimenticata sua madre. Che donna, che donna, Guido mio! Peccato che tu non l’abbia conosciuta! Quando essa se ne volle andare, poveretta, si fece promettere che tutto avrei sacrificato per la felicità di Emma; e così anche lei ha contribuito al vostro matrimonio. Quando Emma venne a dirmi: «Papà, senza Guido io sarò sempre infelice», pensai alla mia cara morta e mi decisi. Voi eravate fatti l’uno per l’altro: vi amavate da un anno, Emma mi diventava pallida e triste, tu, Guido, davi nel farnetico: gioventù, gioventù! Ti ricordi, figliuola, di quel ballo dal console inglese, dove andasti con Guido?

— Mi ricordo — rispose essa macchinalmente.

— Ai vostri volti sereni e felici, agli sguardi che vi davate, tutti compresero che eravate fidanzati: e mi chiamavano padre fortunato! Sì, molto fortunato, aggiungo io: voi vi amavate fin troppo.

— Mai troppo — disse Guido.

— È vero. Auguriamoci sia sempre così, nevvero, Emma?

— Auguriamcelo, papà.

— E questa camera chiusa, che cosa è?

Era la stanza di Guido; a sua volta egli si trovò impacciato, ed Emma salvò la posizione.

— È la camera degli ospiti, papà.

— Ah! bravo, bravo. Cioè quella che avrei occu-