terreno bizzarramente ineguale; un terreno che qui si gonfiava, altrove si abbassava, con ondulazioni come di mare in collera; fra l’erba crescevano a fasci le rose delle quattro stagioni, dopo che vi si erano appassiti i papaveri estivi, lasciando sullo stelo sottile la bacca nera e crocchiante della soporifera. Acuto profumo di erba selvaggia, di rose selvaggie: il profumo violento dei campi abbandonati, dove nessuno va, da mesi e da anni, dove la vegetazione s’inasprisce e si espande solitariamente, morendo, rinascendo, illanguidendosi di nuovo, libera, dimenticata, abbandonata, forse maledetta. Con gli occhi meravigliati Cecilia guardava, cercando bene, cercando meglio, volendo indovinare il mistero di quel campo bizzarramente mosso, come le onde del mare, circondato da un muro, ma pure abbandonato dagli uomini. Vide: vide che ogni tanto, in quattro o cinque punti del campo abbandonato, sorgeva una piccola croce di legno che era stato nero, ma che il tempo e le intemperie avevano scolorito, contorto; alle croci, ad alcune, era attaccato un cartellino giallastro, sporco, su cui eran scritte a mano, con grossi caratteri, incerti, due iniziali e una cifra, quella che il morto aveva portato da vivo, la cifra che la giustizia degli uomini gli aveva dato, in cambio del suo nome. Le croci parevan gettate alla rinfusa, così, come per il capriccio del vento o per l’oblìo degli uomini; forse, caduta una volta, trovate per terra,