lavorato, ella vegliava, con gli occhi aperti, aspettando il richiamo delle sentinelle, guardando la fioca luce della lampada che le disegnava confusamente le più paurose visioni. Fu in una notte di queste, lunga, lunga, che il piccolo Mario era nato: un piccolo figlio gracile che portava in sè tutta la delicatezza del temperamento di lei e nel pallore tutte le tracce degli incubi, dei terrori notturni che ella aveva sofferti. E una parte della poesia che un figlio porta nella casa, fuggiva: il piccolino nasceva in un bagno penale, fra i galeotti: quando si buttava a baciarlo, la madre, vi era qualche cosa di desolato nei suoi baci, come se avesse voluto consolarlo di questo triste ricordo, di questo carattere doloroso! E invano, invano ella aveva cercato d’isolarsi, invano ella aveva studiato ogni mezzo per sottrarre sè e il fanciullo alla vista e al contatto dei galeotti. La culla dove Mario dormiva, era uscita dalla officina di falegnami dove quei disgraziati lavoravano; le prime scarpette, le benedette prime scarpe che fanno vibrare di tenerezza il cuore di ogni madre, erano uscite, le scarpette, dall’officina dei calzolai— galeotti. Come fare? Il capitano non aveva un grande stipendio e non li poteva mandare a Napoli, ogni momento; la roba, dalle officine, costava almeno il terzo di quello che spendeva a Napoli. E lei, per delicatezza, cercava nascondere, con grande premura, il suo ribrezzo, il suo sco-