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o giovannino o la morte 359


— Non posso, scusa, Giovannino; scusate, madre, ma debbo parlare in segreto — affermò, un po’ commossa nella voce, Chiarina.

— Andate, andate, Giovannino, contentatela — fece donna Gabriella con la sua aria di protezione materna.

— Per ubbidirvi, — fece lui, con un inchino.

Chiarina lo prese per la mano e lo menò fuori il terrazzino, fuori quel terrazzino dal pozzo aperto dove avevano tenuto tanti deliziosi colloqui, quando il loro amore era così contrastato. Era notte oscura, una gran freschezza saliva dal pozzo aperto: eran lì fra quelle funi molli che ingombravano il terreno. Giù, sul terrazzo del primo piano, la serva della bella grassona, donna Peppina Ranaudo, tirava su faticosamente un secchio d’acqua, al lume di una fioca candela, canticchiando. Chiarina stringeva ancora convulsamente la mano del suo fidanzato:

— Come hai cuore di far ciò? — chiese affannosamente.

— Che cuore di che?

— Come puoi fare, anche tu, anche tu, amor mio, un mestiere così svergognato, così crudele?

— Non esagerare, Chiarina.

— Non sai che è un mestiere di lagrime e di sangue? Non sai che tutti ci odiano, per questo: e che queste maledizioni della povera gente ci colpiscono?