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o giovannino o la morte | 351 |
ella si alzò, risolutamente, seguendolo fin fuori la porta. Là fuori lo trattenne. Erano soli. La luna illuminava il pianerottolo, le scale e il cortile.
— Hai inteso ciò che ha detto la matrigna? — domandò ella, giuocherellando col lucchetto della porta.
— Che ha detto? — fece lui, come infastidito.
— Che non abbiamo bisogno di salotto. Abiteremo dunque con lei?
— Pare.
— E perchè?
— Perchè non abbiamo denari, figliuola mia, — disse lui, carezzandole i capelli, lievemente.
Ella si schivò:
— Dovremo, dunque, vivere con la sua elemosina?
— Che elemosina! È mamma: ha denari e non sa che farsene; ha soltanto te; ha il dovere di darti da vivere.
— Tu dovresti lavorare, Giovannino; tu dovresti darmi da vivere. Io voglio mangiare solo pane, ma da te, non da lei, Giovanni.
— E lo farò, figliuola mia, lo farò; cercherò di lavorare, di guadagnare. Per ora, capirai... è difficile trovare. M’ingegnerò.
— Promettimi che troverai — diss’ella, supplichevole.
— Te lo prometto. Ma pel principio, sarà difficile, bisognerà che ci accomodiamo qui... vedrai, ci staremo bene...