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o giovannino o la morte 335

la voce del venditore di limoni che malinconicamente raccomandava i suoi limoni freschi. A Chiarina parea di essere in un sonnambulismo: appoggiava la fronte alla persiana di stecche verdi, senza vedere quello che accadeva giù, nella strada, senza sentire le voci o le parole dei monelli, dei venditori, degli animali. E bizzarramente la sua agitazione era senza speranza: non le pareva che da quel colloquio di Giovannino con donna Gabriella dovesse uscir nulla di buono. Era in attesa ansiosa, ma di cose cattive, di cose perfide, di nuovi tormenti inflitti al suo amore: non aspettava nulla di buono da quella donna. Tutti i suoi rancori contro la matrigna si sollevavano rinfocolati dallo stato di eccitamento in cui si trovavano i suoi nervi, da venti ore: ella non aveva avuto da quella donna un solo beneficio, mai: ella le doveva tutte le sue torture, tutti i suoi pianti, tutte le ore nere della sua esistenza: come poteva farle bene, ora? Aspettava il male, ma un male sconosciuto, un male ignoto, un male che non aveva mai avuto. La paura aveva finito per vincere tutti gli altri suoi sentimenti: stretta sulla sedia, col capo abbassato sul petto, con l’occhio senza sguardo, attendeva questo pericolo sconosciuto e i minuti che trascorrevano ancora, avevano finito per sembrarle mortali. Alle sue spalle, una voce bassa la chiamò:

— Donna Chiarina!