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322 o giovannino o la morte

marito che rispondeva: il tutore, cara Elisa, potrebbe intervenire...; aveva visto, donna Gabriella, il sorriso di scherno del cocchiere e del mozzo di stalla di casa Santobuono. Sentiva che tutti costoro la disprezzavano, la odiavano: sentiva che tutti compativano la figliastra sua, piangente a singhiozzi acuti e profondi che turbavano il silente, quieto aere mattinale primaverile. Solo donna Orsolina, che ella incontrò sotto l’androne, cercante invano di regolare il passo alla sua mandria di figli, solo donna Orsolina le diede un buongiorno umile, quasi piaggiatore. A ogni suo parto donna Orsolina si era nuovamente indebitata con donna Gabriella: tutto il suo tesorino di oggettini d’oro, di biancheria fine, di casseruole lucenti, era in deposito all’agenzia di donna Gabriella, e costei minacciava sempre di porre tutto in vendita: donna Orsolina, la povera, non poteva neppur pagare i rinnovi, tanto era in preda a una miseria decente. Così, quando incontrava la forte e grassa impegnatrice, chinava il capo, impallidiva, salutava con un tremito nella voce. Ma donna Gabriella ben sapeva che, anche in fondo a quell’umiltà, vi era un odio sordo, indistinto, l’odio dell’oppresso rassegnato. Ah, ella fu sollevata, la impegnatrice carica di oro, carica di gioielli, quando uscì dal portone, attraversò in venti passi la piazza, entrò in chiesa dove già risuonava l’organo per la messa cantata. Fu felice,