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o giovannino o la morte | 315 |
Gabriella dormiva i suoi vedovi sonni, dall’ampio armadio di mogano a grande specchiera, da due cassettoni massicci di mogano coperti di marmo bianco, da una toilette larga coperta di marmo bigio, vi era ancora il disordine mattinale delle case napoletane, la domenica in cui tutti si levano più tardi. Sulla toilette vi erano tanti scatolini aperti, di pelle, di velluto, da cui donna Gabriella aveva tolto i grossi gioielli di cui si era adornata: certi scatolini erano di legno grezzo bianco, dove stavano scritte tre o quattro cifre, a caratteri d’inchiostro rosso. Donna Gabriella, che aveva sempre caldo, tanto era forte e grassa, tanto si stringeva per assottigliare un po’ la cintura, si soffiava con un ventaglio di raso nero, assai comune, ma attaccato alla persona da un laccetto assai doppio di oro. In questo, Carminella, la cameriera, comparve nella stanza. Carminella aveva già inteso la messa alle sei, essa che era assai devota, che faceva la vita spirituale, vestita di nero come una monaca, e portava il fazzoletto bianco al collo. Era una creatura pallida e silenziosa, dallo sguardo sempre sfuggente, dalla cera contrita, che lavorava solamente per mettersi in grazia di Dio e sospirava di compunzione quando la sgridavano.
— Questa ragazza mi farà crepare — disse donna Gabriella a Carminella, in forma di osservazione.
— Offrite queste tribolazioni all’Eterno Padre, nella chiesa di Santa Chiara — mormorò Carminella.