stati più colpiti nella gran fallita, terribili facce sconvolte, alcune magre e terree, alcune così rosse nella grassezza, con gli occhi così iniettati di sangue, che parea dovessero morire di apoplessia in quel momento. Nota curiosa, bizzarra, i provinciali tacevano, non dicevano neppure una parola, guardandosi attorno con occhio diffidente, pauroso: avevano avuto sempre in gran sospetto Napoli e i napoletani: e Napoli, come un bollente crogiuolo di denaro dove tutto si squagliava, spariva, diventava cenere fredda. Ecco, ci erano capitati alla perdizione e si erano perduti: avevano voluto lasciare il loro paese, portar via dalle fide casse il denaro, nascosto da anni, a Napoli: i napoletani si erano pappata tutta quella grazia di Dio, quella bella grazia che essi non avrebbero visto mai più. I provinciali non ci credevano allo facce disperate, alle grida, ai pianti dei napoletani non ci credevano che un solo napoletano avesse perduto una sola lira; credevano così, vagamente fantasticamente, a una grande commedia giuocata da tutti costoro, di Napoli, che avevano mangiato il loro denaro che forse ne portavano ancora in tasca una parte, mentre si disperavano piangendo e gridando. Cupi, tetri con le labbra strette, con le spalle curve di chi ha avuto un forte colpo e si rannicchia in sè stesso, con certe occhiate oblique di sospetto, i provinciali si aggiravano tra la folla, salivano alle banche, trovavano le porte sbarrate e chiuse coi