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trenta per cento | 297 |
tando, dovunque, di tutti costoro che avevano saputo più tardi la notizia. Monache di casa, maestre, professori, impiegati, operai, vedove di militari, magistrati che allora uscivano dai tribunale: un nuovo elemento vivo di dolore stupefatto.
Ma quelli che sopraggiungevano, alle tre, alle quattro, ansiosi, frementi, trovavano una folla oramai taciturna, nell’oppressione, stanca d’aver troppo parlato, gridato, pianto, bestemmiato, accasciata dal peso di un’aspettativa inutile o che pure restava, attonita, inebetita incapace di rientrare nelle case desolate. Le scene ricominciavano, e tutti quelli che erano colà, dal mattino, e che non avevano neppure più la forza di desolarsi, crollavano il capo, silenziosi, come se volessero dire che la disgrazia propria era più grande di quella di tutti gli altri. Questo nuovo contingente di dolore trovava una folla di anime che si chiudevano in una stupefazione, come se una improvvisa stupidità le avesse tutte colpite. E mentre le deserte officine, le scuole, gli uffici, tutti i luoghi di ritrovo, di vita comune, di convivenza, deserti, si chiudevano, un nuovo tumulto nasceva, un tumulto fatto dai nuovi arrivati fra un lugubre, taciturno coro di coloro che da sette ore assaporavano tutta l’amarezza della loro sventura e ne avevano inondate le vene. E già, coi treni successivi, da Salerno, da Caserta, da Foggia, da Campobasso, cominciavano ad arrivare i provinciali, quelli che erano