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trenta per cento 293

miseria implacabile, un disastro di cui non osavano, in quel primo minuto, misurare tutta l’ampiezza, ma di cui già sentivano il peso tremendo; ma per molti quel fallimento era il disonore: avevano preso il denaro altrui, sperando di restituirlo, ed ecco il denaro era loro tolto, senza speranza di restituzione e sarebbero stati accusati di ladrocinio. Costoro erano gli esterrefatti. Si aggiravano fra la folla, smorti, con gli occhi stralunati, non vedendo, non sentendo, non udendo più nulla, pensando solamente che erano perduti. Innanzi al palazzo Faucitano un postiere, tenitore di banco lotto, che aveva arrischiato tre giorni prima molte migliaia di lire, appartenenti al Governo, non voleva credere al disastro, e dopo, quando ne fu certo urlava, piangeva, rideva, farneticava dimenandosi come un folle, sgomentando con la sua improvvisa forma di pazzia, quella folla già sgomenta, atterrita! Le guardie lo dovettero condur via, a forza. Ma non fu una scena soltanto, furono tante scene lugubri strazianti. Un vecchio che gridava: Figli miei, figli miei, uccidetemi, sono un assassino; un giovane scialbo che mormorava: non ci è che ammazzarsi, ammazzarsi, e ripeteva continuamente la parola come se fosse impazzito anche lui; un altro vecchio, con gli occhi rossi donde erano sgorgate le ultime rade lacrime della vecchiaia, andava balbettando, come se un urto nervoso gli avesse tolto l’uso regolare della fa-