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dava i grandi alberi sfrondati della via, mentre la carrozza rasentava, a sinistra, la gran meraviglia del parco reale, donde una vegetazione sempre verde sempre fresca si elevava; e un po’ di serenità le veniva da quel deserto, da quella campagna ancora stillante di pioggia, da quelle ville che avevano sbarrato le porte e le finestre, da quell’immenso silenzio campestre invernale. Il coupé si fermò innanzi alla porta grande del Real Parco e il portinaio, che la conosceva, guardò appena appena il permesso che Eleonora Triggiano esibì. Ella andava spesso lassù, in quei grandi viali ombrosi profumati, taciturni e solitari, ella si compiaceva di quella grande estensione di via, lontana, lontana, sotto gli alberi. Andava lentamente, lentamente appoggiandosi sul manico alto di avorio del suo ombrellino, quando vide venire a sè, fedele, immancabile, Paolo Collemagno. Era un’illusione o le parve più scarno, dagli occhi più profondi e più ardenti? Si salutarono solamente con gli occhi, senza stendersi la mano, senza dirsi una parola e si misero a camminare lentamente, uno accanto all’altra, con gli occhi abbassati, come se fossero oppressi dai loro pensieri.
Lasciarono a sinistra il grande edificio del palazzo, circondato dalle aiuole verdi del giardino inglese e piegando a destra, passando sotto un arco di pietra, dove il custode forestale dalla soglia della sua casetta li sa-