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grande appartamento deserto; e non sapea più che fare, che leggere, di che occuparsi, un po’ sgomenta, temendo sempre l’improvviso risveglio del suo cuore. E tante giornate, tante giornate, una dopo l’altra, come questa, sarebbero venute, monotone, solitarie, senza speranze e senza desiderii, che il conto lungo, immenso, le faceva paura e la vita le pareva insopportabilmente lunga, insopportabilmente vuota. Scrosciava la pioggia di primavera sopra i cristalli delle finestre e un gran velo bigio si era disteso sulla città; dietro quel temporale si intuivano le mollezze primaverili e i fiori rinascenti, e tutta la bellezza rifiorita del gran paese meridionale; era una pioggia confortante e per la via, lasciandosi bagnare il capo scoperto, i monelli correvano, scalzi, ridendo, strillando.

— Piove, piove!

Ma nulla poteva a lei importare che con quella pioggia finissero i rigori invernali: nè la tiepida stagione, che si annunziava imminente, aveva lusinghe per lei. Oramai passavano indifferenti, sul suo capo indifferente, le stagioni; nessuna di esse poteva arrecarle nulla di nuovo, la sua esistenza era una lunga stagione solitaria, senza fiori, senza frutti.

— Ecco una lettera, — disse la cameriera rientrando nella stanza dove la signora passava distrattamente il pettine ne’ suoi biondi capelli.