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di carta; e anche le chicche francesi, dai nomi francesi, dalle pralines ai fondants, dalle dragées alle langues de chat, scomparivano nelle scatole da confetti di raso, di trina, di paglia, di maiolica, di metallo cesellato; ma anche i biscotti, la cosidetta pasticceria secca, ma anche la più comune schiacciata, la pizza dolce, avevano le loro grandi richieste. Faceano il servizio tutti i commessi di casa Caflisch, tutti svizzeri, giovanotti dalla pelle bianca e rosea, dagli occhi azzurri, dai capelli biondi, dai grandi grembiali candidi. Servivano rapidamente, in silenzio, nati a quel mestiere pulito, elegante, tranquillo. Cartocci enormi uscivano dalla bottega, portati dai facchini nelle carrozzelle. La gran celebrazione del Natale era proprio là, in quella bottega, il Natale di tutti i napoletani, di quelli che hanno pochi soldi e che non sanno privarsi dei dolci, come quelli che ne hanno molti e comperano i dolci anche per i poveri, anche per i miserabili. Anche dentro Caflisch i collettori entravano trascinando colà lo persone non convinte, offrendo loro generosamente delle paste, del Malaga, dei vini dolci e forti che stordivano i loro invitati, pagando tutto loro, continuando a chiacchierare della mirabile banca Ferrero, della meravigliosa banca de Cunctis. Con lo sguardo Eleonora Triggiano cercò di affrettare uno dei commessi, e mentre costui, gentile, premuroso, come tutti gli svizzeri, prendeva la sua annotazione nel libro di registro, ella disse: