niere: appena la barca si distaccò dalla spiaggia dei Bagnoli, il nero forgone che aveva aspettato l’imbarco voltò e sparve rapidissimamente per la via di Fuorigrotta, verso Napoli. Ora la barca, col suo carico, se ne andava a Nisida: più lentamente andava, mentre più profondamente si chinavano i barcaiuoli sui remi, come se assai pesante, assai pesante fosse il carico. Per quel mare bello, sospiro di amanti e di poeti, felicità dei marinari dei pescatori, per quel bel mare che è la lietezza dei fanciulli e dei poveretti, la barca del condannato andava, tetra, silenziosa, più tetra e più silenziosa che se portasse un cadavere. I carabinieri fedeli, seduti intorno a lui, non gli levavano un minuto l’occhio di dosso, più attenti, più zelanti, temendo di quel pericoloso tragitto di mare, sopra una barca, donde egli, forse, poteva tentare di buttarsi in mare: lo guardavano negli occhi, quasi che la pratica avesse loro insegnato, a quei semplici soldati, che la più nascosta volontà dell’uomo ha sempre un rapidissimo fulgore negli occhi. Ma il condannato, certo, non pensava a fuggire: sul mare conservava la sua tranquillità, come quando era sceso dal forgone. Anzi, si guardava intorno, con un certo piacere, come se fosse contento di quel viaggio per mare, all’aria libera, in quel cullante moto della barca. Teneva in grembo le mani incatenate, così, come se le avesse incrociate per un moto naturale: solo, taceva, fra il silenzio dei