dato i provinciali alberghi dei Fiori ai Fiorentini, del Cappello rosso a San Tommaso d’Aquino, dell’Allegria in piazza Carità, di Villa Borghese ai Guantai Nuovi: i più danarosi si erano spinti sino all’Hôtel Centrale in via Fontana Medina e all’Hôtel de Saint-Petersbourg in piazza Municipio: e tutto il giorno lo passavano andando, in su e in giù, stanchi, rifiniti, le donne coi cappelli di tre anni prima buttati indietro, gli uomini trascinando le grosse scarpe paesane fermandosi a ogni bottega, anzi, a ogni bancarella, contrattando a lungo, a lungo, tutti insieme, donne, fanciulli, arciprete e coloni, disprezzando la roba, offrendo il terzo, il quarto della domanda, ostinandosi, tollerando le ingiurie dei venditori che li chiamavano cafoni e che talvolta, anzi quasi sempre, finivano per mettersi di accordo. E si capiva alle loro grosse scarpe, ai pesanti vestiti di panno, ai fioccagli d’oro, alle cannacche a tre fili di palline d’oro, ai laccetti d’oro, alle loro labbra sottili, agli sguardi obliqui e furbi, al bizzarro colore della loro carnagione; a tutto si capiva che erano venuti a Napoli per le banche, per quel grosso interesse, per portare le loro piastre, i loro ducati, i loro napoleoni, perfino i colonnati di Spagna, una moneta antichissima, conservata nei vecchi cofani ferrati di provincia. Quando mai, a Napoli, si era visto tanto argento, tant’oro, una moneta luccicante e sonante? Erano loro, i provinciali che attratti dal terribile interesse ve-