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metteva la massima sollecitudine e puntualità nelle operazioni. Niente altro: era come il manifestino di un dentista, di un calzolaio, di un vinaio: non portava un nome; faceva solo una promessa di denaro e dava un indirizzo: e parea che questo bastasse, poichè tutti leggevano attentamente il manifestino, lo piegavano in quattro o lo conservavano. Infatti, intorno al distributore non vi erano manifestini per terra, come succede sempre per qualunque altra offerta: la gente, dopo aver letto sul pezzo di carta, si affretta a buttar via questo pezzo di carta, sdegnosamente, facendone una pallottola. E anche Eleonora Triggiano lo conservò, il suo biglietto giallo, cacciandolo dentro il manicotto. Si mise per Toledo: dove lungo i due marciapiedi la fiera ferveva acuta schiamazzante. Avrebbe dovuto comperare qualche cosa, tanto perchè era una carità comperare, ma vagamente s’infastidiva di caricarsi di quella meschina robetta: bicchieri di cristallo grossolano, spazzole da cucina, cravatte da settantacinque centesimi, portafogli di una lira e venticinque, macinini da caffè arrugginiti e tubi per lumi a petrolio.

E poi, tanta gente comperava quest’anno, e tanta gente era felice di vendere: e contrattazioni sulla strada, fra gli urti delle persone frettolose, erano così forti che la sua piccola carità le pareva assai inutile. Accanto a ogni bancarella vi era un ragazzetto che dava la voce, instancabile col capo