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naro, un denaro venuto da tutte le parti, ma specialmente dalla provincia, denaro che arrivava da dovunque e dovunque si spargeva largamente, largamente per la gran cuccagna napoletana di Natale. I sensi di Eleonora Triggiano si erano come acutizzati, dopo quei quindici giorni di solitudine e di meditazione e attraverso le voci, attraverso i colori, attraverso gli odori, ella sentiva una verità più acuta, più morale, più profonda, questo grande sfrenamento di una città meridionale, abitualmente sobria, abitualmente povera, che improvvisamente si trova ad aver denaro, si trova a poter mangiare quello che vuole in un paese dove si vendono il miglior pesce, i migliori erbaggi, le migliori frutta. E una gran mollezza la vinceva, fra tanto denaro sgorgante da tutto le tasche, fra tanta roba da mangiare, fra tanta felicità di quelli che avevano da comperare il mangiare, che sognavano di già, portandosi via il pollo, l’erba, il pesce fresco, un gran pranzo, due pranzi, senza fermarsi che per dormire e per passeggiare. Ella andava, spinta dalla folla, avviandosi verso Toledo; solo si dovette fermare verso il venditore di pasta e di frutta secca, all’entrata della Pignasecca. Costui, con i suoi banchi, con le sue casse aperte, coi suoi canestri aveva invaso, non solamente il marciapiede, ma anche la strada. Castagne secche bianche e castagne secche dentro il guscio, noci bianche, nocciuole, mandorle cotte,