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dalle parole udite qua e là, da lembi di frase, da grida di gioia, da dialoghetti scambiati fra marito e moglie, e dalla stessa espressione generale di tutti i visi ella aveva la percezione ben chiara ben precisa che per Napoli gran denaro era corso, che tutte lo tasche più umili ne possedevano, che quel Natale sarebbe stato lieto per tutti che quella festa così poetica risolventesi in un immenso banchetto di Gargantua, avrebbe assunto in quell’anno proporzioni colossali.

Pare l’urdemo juorno che se magna, diceva il poeta, parlando della festa di Natale; ma realmente la lieta prospettiva del cibo, del gran cibo, del cibo delicato, dell’interminabile cibo, dava ai napoletani un febbre fantastica di allegrezza, tutto un sogno d’isola di cuccagna, con montagne di maccheroni, montagne di broccoli strascinati, enormi piatti di anguille in fricassea, marinate, fritte, arrostite, con l’aceto, con l’uovo, con la foglia di lauro, insalate di cavoli, coperti di acciughe, mescolate con le uova dure, con il tonno sott’olio, polli arrosto, polli in guazzetto, polli alla conserva di pomidoro, polli al forno. Isola di cuccagna quell’anno, poichè il denaro delle banche, il grasso interesse correva dappertutto, dalle tasche dei principi a quelle dei maggiordomi, da quelle dei borghesi ricchi a quelle delle serve, dalle tasche delle persone pietose e generose alle tasche dei poverelli: correva dappertutto il de-