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trenta per cento 231

ceva Lidia Gioia in un palco di seconda fila, a San Carlo, ella leggeva delle lunghe lettere che le arrivavano quotidianamente, fedelmente; non si potea difendere da quella contemplazione e da quella lettura.

Il pallido volto si facea cereo e gli occhi, sottolineati di nero, avevano le traccie delle insonnie, delle veglie. Ma il giorno in cui il molle scirocco abbracciò Napoli, Raffaella spense il fuoco nel caminetto e aperse i balconi. Levandosi, Eleonora Triggiano battè le palpebre, a quella dolce luce di sole. Non potea più a quel chiarore, a quel calore che entrava dalle finestre, a quel lieto tumulto, mettersi in un cantuccio scuro della casa, leggicchiando, pensando, sonnecchiando; il torpore che l’aveva vinta, svaniva a quella giocondità esteriore che fluisce per diradare tutti i dolori dei napolitani.

— La signora non va a fare spese? chiese la cameriera Raffaella, che le girava intorno.

— Non ho nulla da comperare — fece la padrona indecisa.

— Ed anche se doveste farlo, per carità, comperate qualche cosa, signora mia — disse la cameriera, andando a prenderle un vestito nuovo che la sarta aveva portato, da quindici giorni, ma che per pigrizia la signora non aveva mai indossato.

Era assai gentile la signora in quel vestito di panno azzurro cupo, orlato di sottili galloncini