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sieri dolorosi che la opprimeva, disse di sì. La conosceva poco, questa donna Concettina, la bizzoca, l’aveva solamente incontrata nel cortile qualche volta essendo vicini: donna Concettina abitava nella terza scala, al secondo piano: e andava sempre poveramente vestita, sempre taciturna, con gli occhi bassi o il passo così cheto, che pareva avesse le scarpe con la suola di feltro. E così cautamente la vide entrare. Era vestita di lana nera con un grosso scialle anche nero e un cappello di crespo nero legato sotto il mento: le mani giallastre, malgrado il freddo, stringevano una di quelle vecchie borse di tappezzeria, su cui è ricamato un gallo che canta, a colori più stinti.

E tutto il volto di donna Concettina, la bizzoca, era di un pallor cereo, uguale, come se non vi scorresse, sotto, una sola goccia di sangue: le palpebre un po’ scuricce coprivano sempre lo sguardo cauto e le labbra sottili erano di un color di rosa pallidissima.

— Sia lodato Gesù e Maria! — disse con voce bassa.

— Oggi e sempre, — rispose la signora Eleonora che conosceva la giaculatoria.

— Non vi disturbo? — chiese la beghina, guardandosi attorno e incrociando le mani di un pallor cereo, tutto eguale, sulla borsa.

— No, per niente; — rispose la signora Eleonora cercando di sottrarsi ai suoi tetri pensieri.