trona, stringendosi la fronte e gli occhi sotto le mani intrecciate. Non era più gelosa, no: aveva detto la verità a Paolo Collemagno. Ma sembrava che le pesasse sulla vita una catastrofe imminente: aveva uno di quei momenti di dissoluzione assoluta, quando pare tutto crollante intorno e non un punto di appoggio per la povera anima pericolante. Era sola. Candidamente, onestamente aveva affidato il suo cuore e la sua vita al marito, a Carlo Triggiano: costui aveva disprezzato questo cuore e staccata a sua esistenza da quella di sua moglie, pur restando indissolubilmente uniti innanzi alla legge e alla società, Non aveva nè figliuoli, nè parenti, nè amici, nessuno. Anzi, aveva un amico solo: ma Paolo Collemagno l’amava di amore, da due anni, senza rimedio, senza salvezza, ed ella pensando al povero e buon giovane, di cui era la sola ragione della vita, pensando a quella invincibile passione, sentiva innanzi a sè un altro abisso, una perdizione. Ella era veramente virtuosa e buona, con l’orrore del male, con l’orrore del peccato: ma tante resistenze del suo animo erano cadute innanzi alla pietà.
La pietà, la pietà! Chi aveva pietà di lei, nella solitudine, nell’abbandono? Stava sdraiata in una stanza silenziosa, nella penombra di una giornata fredda e bigia d’inverno, e tutta la sua casa era silenziosa, come lo era tutt’attorno, quel vastissimo palazzo Cariati, alto tre piani dalla parte del Corso, alto sei dalla via della Concordia,