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196 | trenta per cento |
così ampio e così potente. La sera lo trattò con grande rispetto, e ogni tanto si mettevano a parlare lentamente, a bassa voce, della Banca, come di una grande e potente persona assente, come di una deità piena di forza, che li metteva in uno stato di sgomenta ammirazione.
Tutto gli ritornava in mente, ora, fra quel vocio assordante, fra quella gente bizzarra, miseramente vestita, o pomposamente elegante, ma pallida, preoccupata, affaccendata che piegava la sua cartolina di ricevuta e scappava via, commossa, come quando si scappa via dalla bisca; gli tornava in mente sbirciando dietro il cancello, dove non v’erano che due o tre sedie spaiate, o un tavolinetto su cui scriveva quell’impiegato sotto la dettatura di quello che stava allo sportello. Niente: nè uno scaffale, nè un armadio, nè una cassa, nè una scrivania, un vuoto assoluto che gli produsse una impressione di freddo.
— Carlotta Bencivenga, ottocentonovanta!
— Rosario Fuortes, centoventi!
— Gaetano Amirante, dodicimilasettecento!
L’impiegato prendeva i denari di quest’ultimo, che era un grosso uomo panciuto, con un soprabito giallastro e un cappello di feltro giallo, un provinciale evidentemente, e si metteva a contarli. Erano delle carte unte, sporche, ed era anche un sacchetto di piastre, come non se ne vedevano in circolazione, da tempo, monete di Ferdinando se-