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all’erta, sentinella! 7

Procida e venivano verso Pozzuoli, seguendosi, filando sotto la brezza della sera che si levava, senza che si vedesse il moto continuo con cui lasciavano andare in mare la sciabica, la grande rete di quelle fratellanze marinare e pescatrici che sono le paranze. A un tratto, dietro a due lavandaie che tornavano da Napoli per la via di Fuorigrotta, portando sul capo due grossi fardelli di biancheria, si udì il trotto sordo di un cavallo che levava i piedi in misura; veniva anche esso da Napoli, per la strada diritta e polverosa. Era una carrozza nera nera e lunga; un forgone tutto chiuso, che non rassomigliava nè a quello delle Regie Poste, col piccolo coupé innanzi, nè al forgone dove si conducono i soldati convalescenti: era un forgone nero nero, tutto serrato, con gli sportelli di legno sollevati, un forgone che somigliava al carrettone municipale, che porta al camposanto i morti in tempo di epidemia e che la buona gente napoletana non vede passare di giorno, non ode passare la notte, senza segnarsi, senza mormorare sottovoce una preghiera, o senza borbottare uno scongiuro. Ma non era il carrettone dei morti. Il forgone passò rapidamente sotto la villa Carrano, sotto l’osteria dei Bagnoli: una vecchia miss che leggeva sulla porta della villa, aspettando i nipoti che ritornavano dal bagno, inforcò meglio gli occhiali per vedere la negra carrozza; la donnina bionda alla finestra si tirò indietro, come sgomenta, ma la curiosità la