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trenta per cento 187

cordia, a quel palazzo Cariati che corrisponde anche sul Corso Vittorio Emanuele, e che è un’immensa riunione di gente povera e di gente ricca. Mentre se ne andava, a piedi, dovendo fare un’enorme distanza e risparmiando anche i tre soldi dell’omnibus il professore tastava ogni momento la tasca del soprabito, dove nei portafoglio largo, sdruscito, di pelle nera consumata, stavano chiuse le settecento lire delle sorelle Fasulo.

Poteva perderle, poteano rubargliele al solo pensarci, ogni tanto, impallidiva, cioè diventava più giallo nella cartapecora del suo volto di trent’anni. Avrebbe voluto andare subito alla banca, deporre subito quel danaro che gli dava un fastidio enorme: ma non aveva il tempo di arrivare al palazzo Faucitano, a Toledo, al largo della Carità, dove risiedeva la grande banca Ruffo-Scilla; doveva prima dare la sua lezione alle alunne del secondo corso, alla Scuola Normale, in via del Gesù. E macchinalmente, preso da una costante paura di perdere quei quattrini, teneva la mano sulla tasca, anche quando entrò dal libraio scolastico Gambardella, in via Trinità Maggiore, a prendere un volume di storia, del Muratori, in prestito, come faceva spesso. Il libraio Gambardella, mentre faceva dei pacchetti di grammatichette dello Scavia, ascoltava le parole di un giovanotto alto e biondo, vestito con una certa eleganza:

— Ora vado a portarci cinquemila lire di don