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184 | trenta per cento |
ciata, sopraggiunse la maestra dei lavori Clorinda Fasulo una grossona alta e ridente, dalle grosse guancie lucide e colorite, dal vestito di lana stretto tanto che pareva crepitasse, a ogni minuto, a ogni movimento delle spalle rotonde, a ogni movimento delle braccia rotonde come pali.
— Buongiorno, professore, buongiorno — disse ella, allegramente — potete trattenervi un minuto?
— Volentieri — disse lui, guardandola rispettosamente il piccolo e meschino professore, in ammirazione davanti a quella forte grassezza.
— Dovreste farmi un favore. Conoscete la banca Ruffo-Scilla?
— Nossignora, non la conosco — disse lui con un vago sorriso — non conosco nessuna banca.
— Non importa, qui vi è l’indirizzo. Credo che sia sulla vostra strada. Ora, se non vi dà fastidio, dovreste mettere sulla banca queste settecento lire. Trecento lire a nome di Elisabetta Fasulo che è mia sorella e quattrocento a nome di Clorinda Fasulo.
— È una cassa di risparmio? Debbo avere un libretto? Due libretti?
— No, professore. Margherita Lombardi, che ci ha messo centocinquanta lire, due mesi fa, ha avuto una semplice ricevuta, ma col timbro della banca e cinque o sei firme. Così anche Teresina Farnese, nostra economa, così Filomona Scognamiglio la maestra delle piccole. Una ricevuta, una