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174 terno secco


— Hanno vinto tutti, tutti — rispose la fanciulla desolatamente.

Tacquero; annotava. Per le scale del palazzo Jaquinangelo continuava l’aprire e il chiudere delle porte e il vocio e il tramestio continuava nella piazza dell’Aiuto, in quella lieta serata di maggio, che cominciava. Solo nel quartierino, al terzo piano, vi era un gran silenzio. Macchinalmente, con le sue mani esili e bianche, la signora carezzava i capelli folti di Caterina.

— Mamma, è scuro accendiamo il lume.

Andarono ambedue in cucina, presero il piccolo lume a petrolio e lo portarono nel salotto: la tavola restava mezzo sparecchiata; la signora, placidamente, raccolse i piatti sporchi, raccolse la piccola tovaglia e portò tutto in cucina. Il lume acceso brillò in mezzo alla tavola rotonda.

— Non devi imparare le lezioni? — chiese la madre alla figlia, sedendosi sul divano di Genova.

— È domenica, domani.

— Ah, è domenica! — ripetette la signora macchinalmente.

Di nuovo, silenzio grande. Ma un piccolo mormorio, dalla cucina, cominciava a venire, indistinto, prima, come un fruscio. Non vi posero mente, assorte ognuna in pensieri. Una chiave girò nella toppa.

— Ah, ecco Tommasina! — gridò la fanciulla. Non era Tommasina, era Francesco, guardia di