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172 terno secco

banco dei lotto, quando ci siamo andati, Federico e io. Hanno detto che avevano pagato troppe vincite, che non avevano più denari, che tornassimo lunedì. Che importa! Andremo lunedì, il Governo non se ne fugge. Ma dove sarà Tommasina?

— Dove sarà? — ripetette la fanciulla.

Depose l’involto sopra una sedia presso la porta.

— Di che si tratta? — domandò Caterina.

— È la coperta di stelle all’uncinetto, che facevo per Nannina, l’ortolana, che si deve sposare. Ora, se la faccia da sè, se la vuole: io ho da fare la mia. Ma a Tommasina che deve avere il bambino, fra poco, le farà piacere. E poi, non avevo altro, oggi, poichè il Governo non ci dà i denari che lunedì. Ditele che non aveva altro e che veda la buona volontà, niente altro. Buona sera, signorie.

— Buona sera.

Ma nelle scale si udiva un parlottare: e Caterina impaziente di veder tornare la serva, si affacciò alla ringhiera. Era il giudice gobbo Scognamiglio, con tutta la sua figliuolanza, che andava a passeggio: e avevano incontrato per le scale zì Domenico lo sciancato che veniva su.

— Ebbene, avete vinto? — gli chiese il giudice Scognamiglio, scherzando, egli che non scherzava mai in vita sua. — Quanto avete vinto?

— Niente Eccellenza, niente: io sono fedele alle mie idee, alle cose che dicono gli uomini di scienza, di matematica, che sono illuminati da Dio.