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terno secco 159

contro i superiori. E nella cucina si cavò il berretto, cercando un posto pulito dove riporlo: e mentre Tommasina riversava la minestra dal tegame, in un largo piatto dove attingevano in due, avendovi anche unito delle grosse fette di pane, egli si passò una mano fra i capelli e cominciò a narrarle quello che era accaduto nella mattinata, a casa loro. Egli era rientrato alle sei e mezzo, stanco morto, volendo dormire sino a mezzogiorno. Ma che! era venuta zì Fortunata, quella che prestava denari e vendeva vestiti e biancheria, a respiro, pagandosi ogni sabato, con una usura terribile che avvinghiava il debitore e non gli lasciava più pace: aveva fatto una scena, e la domenica ne sarebbe venuta a fare un’altra, in casa della signora, poichè da tre settimane non aveva nulla.

— Perchè non hai lasciato niente, sul cassettone, per zì Fortunata? — domandò Francesco, mangiando avidamente quelle fette di pane bagnate nella minestra.

— Perchè non ne avevo — fece la moglie, stringendosi nelle spalle, seccamente.

Il marito crollò il capo, come se volesse dire che non era quella una buona ragione. Fingeva sempre, da persona rispettabile, autorevole, da funzionario dello Stato, come egli diceva, di non occuparsi della miseria famigliare: e mentre egli aveva sempre la mezza lira in saccoccia per offrire un sigaro e un bicchiere a un amico, come vuole il