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terno secco 151

mestiere sedentario, fra gli odori acri dei colori mescolati allo stucco, nella piccola bottega della piazzetta dell’Aiuto. Era così smorto e fiacco, con le gengive bianche e la cartilagine dello orecchie cerea, che rimaneva delle ore innanzi a un trionfante S. Michele Arcangelo, senza poter neanche levar la mano per strofinar un poco di oro sulle piastre della corazza del vincitore di Belzebù. Guardava, con l’occhio appannato, i suoi santi che venivano grezzi dallo scultore e se ne andavano tutti rosei, tutti estatici, con gli occhi azzurri rivolti al cielo, con le mani delicate che imploravano grazie dal cielo, o ne diffondevano sulla terra: Santa Filomena, con lo strale che sembra una penna: S. Rocco col ginocchio scoperto e piagato, seguito dal suo cane fedele; S. Biagio vestito da vescovo, in atto di benedire; S. Vincenzo Ferreri col libro aperto in mano e la fiamma dello Spirito Santo sul capo. Peppino Ascione li guardava, estatico, malinconico, come se chiedesse loro la grazia della guarigione. Accanto a lui, sul tavolino, fra il bianchetto e il vermiglione si raffreddavano i maccheroni al pomodoro, che sua madre gli mandava, ogni giorno, da S. Giovanni Maggiore, dove abitavano, si raffreddavano in un largo tegame di creta rossa, senza che Peppino Ascione li toccasse, poichè non aveva mai fame. Neppur beveva al fiasco di vino di Marano, al fiasco di vetro verdastro, chiuso da una foglia di