Pagina:Serao - All'erta, sentinella!, Milano, Galli, 1896.djvu/154

140 terno secco


— Già. E tu, dove vai?

— Lo dicevo qui, a Gelsomina che si vuol maritare e che non sa chi scegliere, fra don Giovanni Caccioppoli, che è un signore, o il giovane di Rigillo, il parrucchiere: è meglio scegliere il giovane del parrucchiere; un signore, mai.

— E che ci entra, questo, Mariangela.

— Ci entra, ci entra, perchè in casa nostra non ne possiamo più, la marchesa e io, chè, proprio, se non avesse me, si butterebbe in un pozzo! Da una parte il marchese, che quando rientra a casa all’alba, è una meraviglia, perchè spesso non torna punto o si mangia tutto, e lascia stare quella povera anima di Dio della marchesa senza un soldo: dall’altra il contino che ogni tanto se ne viene fresco fresco dalla cugina a dirle: Benilde, hai cinquecento lire? — Che deve fare la marchesa, che possiamo fare? il contino non ne sa nulla, delle nostre ristrettezze; il marchese, ogni volta che gli si dice qualche cosa, butta in faccia i beni parafernali e lo spillatico: duecento lire il mese, quando si vedono, e se la signora viaggia, deve pagare da sè il biglietto. Che s’ha da fare, figliuole mie? Si vende e s’impegna. Volete vedere?

E attirò Tommasina e Gelsomina più sotto l’androne, si guardò attorno, cavò dalla tasca un astuccio di pelle rossa, lo aprì: sul velluto bianco brillava uno spillo grande, a ferro di cavallo, di brillanti e rubini, scintillanti nella penombra dell’androne.