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terno secco 131

signora, era sabato, contraddisse la serva. E la povera ragazza del Cilento, magra e bruna come un’oliva, devota alle due donne come un cane fedele, trascinandosi un poco, un po’ ridendo, quasi forzò Caterina a vestirsi, promettendole che l’indomani che era domenica si sarebbe alzata alle dieci, che le avrebbe dato anche a lei l’uovo sbattuto nel caffè, perchè era domenica. La signora, che doveva vociferare tutta la giornata, dando lezioni d’inglese e di francese, si permetteva quel lusso che valeva tre soldi e faceva bene al petto: ma per scrupolo non faceva colazione o stava sino alle cinque, senz’altro che quell’uovo. Ora seduta, pensierosa guardava Tommasina che legava le sottane alla fanciulla: Caterina aveva un corpo robusto, niente elegante, cresceva ad esuberanza e rompeva tutto, vestiti, scarpe, calzette. Giusto il suo vestito di lanetta bigia si era già consumato ai gomiti, si era fatto corto e lasciava vedere un po’ le gambe. Caterina si guardava le scarpe e i gomiti, con una ciera desolata: mentre la madre, che a maggio portava ancora l’abito di lana marrone dell’inverno, assai pesante, conservava la grand’aria signorile.

— Rompi tutto, piccola figlia — disse la madre dolcemente.

— Si rompe, mamma; come ho da fare? E non mi hai promesso un vestito nuovo per gli esami?