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126 | terno secco |
alle sei, partiva dal vicolo Violari al Pendino e andava al suo servizio, in piazza Santa Maria dell’Aiuto, mettendoci tre quarti d’ora, poichè la distanza è grande e poichè non poteva correre, con quel peso che le rallentava il passo: prima di arrivar su, per risparmiare un po’ di fatica, comperava il carbone, attingeva un secchio d’acqua al pozzo del cortile e lentamente, lentamente, saliva i tre piani, vacillando, ansando, socchiudendo gli occhi per la pena. Pensava al marito, che era una guardia di pubblica sicurezza e che a quell’ora, forse, rientrava in casa, si buttava a dormire lungo disteso, nel letto vuoto, per riposarsi della dura pattuglia notturna. Quella mattina di sabato, come le altre Tommasina scosse la cenere del focolaretto, per trovarvi qualche carboncino acceso, che vi lasciava appositamente la sera e mormorava:
— In nome di Dio...
Era la invocazione mattutina, quella che tutte le lavoratrici fanno, prima di mettersi al lavoro. Ora soffiava sui carboni per accenderli buttandosi indietro, ogni tanto, perchè il puzzo dell’acido carbonico la nauseava: quando vi ebbe messo su il bricco del caffè, con un po’ di ribollitura del giorno prima, cercò nella paniera dei carboni, e vi pescò un uovo ravvolto in una carta. Cercando di fare il meno rumore possibile, sbatteva quest’uovo nel bicchiere, il solo tuorlo, con lo zucchero fine, e soffocava il rumore, per non risvegliare le persone