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di seguitare fino a Prato a piedi, ma ciò feci solo per eludere sul vero scopo di quel viaggio e per far perdere così le tracce di quei due che a me si erano affidati.

Noi percorremmo così quel tratto di via che dal detto punto occorre per raggiungere la maestà detta la Madonna della Tosse, e cioè il luogo convenuto per l’attesa dell’altra vettura fissata col Martini. Fatto il cenno di convenzione, sortì dall’albereta la vettura guidata da certo Vannuchi giovane ardito, e di buoni principj, ed in essa vettura, trovavasi anche il Martini stesso che era venuto ad incontrarci.

Saliti tutti su quella vettura seguitammo fino presso la Città, e quindi discesi rimandando la vettura, ci inoltrammo per i campi e per la sponda destra del Bisenzio si raggiunse la via ferrata, e varcando questa ci introducemmo nella stazione ove l’amico Fontani ci attendeva.

È ben da ricordarsi che un corpo d’austriaci stanziava in Prato, e che al disotto della stazione stava la sentinella di guardia della quale punto ci curammo, tanto era l’ardire nostro e la intrepidezza degli illustri profughi a noi affidatisi.

Poco dopo l’arrivo in quel luogo io ridiscesi per dove eravamo venuti, e per confondere le ricerche che avrebbe potuto fare la polizia, entrai in Prato dalla porta al Serraglio, ove il custode di allora ben mi conosceva, il quale meravigliandosi di vedermi giungere in quell’ora cioè a mezzanotte e mezzo circa, io finsi essere andato per trovare il mio amico ing. Ciro Mazzi (che ben sapea essere assente dalla città) ed infatti mi portai alla di lui abitazione ove chiamatolo mi fu risposto che egli si trovava a Firenze, ed io allora recatomi presso un tenutario di vetture ripresi il solito Vannuchi, e col suo legno risortii da Prato figurando tornarmene a Vajano, mentre tornavo invece alla Stazione, per attendere l’ora fissata delle due antim. per far riprendere il viaggio all’illustre coppia, che senza incidente veruno percorse la via direttamente, e senza far sosta fino presso il paese di Poggibonsi ove trovavasi ad attenderla l’egregio prof. Burresi che nella sua qualità di medico, e come mio amico era stato da me preventivamente chiamato onde visitare il capitano Leggiero, che trovavasi indisposto sempre per