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di nullità degli atti compiuti, non ipotizzabile in assenza di una espressa diposizione di legge (cfr. da ultimo Cass. Pen. Sezione I, 19.2.02 n. 13104 e Cass. Pen. Sezione VI, 11.3.03 n. 21689).

Nella specie, inoltre, il lasso di tempo intercorso tra la data individuata della difesa (3 agosto 2004) e quella di iscrizione nel registro degli indagati (24 settembre 2004) coincide pressoché integralmente con il periodo feriale, nel quale è prevista la sospensione dei termini processuali, ivi compresi “quelli stabiliti per la fase delle indagini preliminari” in procedimenti con imputati non detenuti (art. 2 L. 742/1969 e successive modifiche).


3) L’avv. Longo ha eccepito l’omessa notifica in proprio favore del primo provvedimento di proroga delle indagini.

A norma dell’art. 406 c.p.p. la richiesta di proroga deve essere notificata alla persona sottoposta alle indagini nonché eventualmente alla persona offesa, senza alcuna ulteriore disposizione relativa ai difensori. Peraltro la scelta legislativa trova conferma nel fatto che il provvedimento di proroga del termine viene emesso “in camera di consiglio senza intervento del pubblico ministero e dei difensori”, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 406 c.p.p.

L’ordinanza della Corte Costituzionale citata dalla difesa a sostegno dell’eccezione (n. 8 del 19.1.07) è impropriamente richiamata, perché attiene ad istituto del tutto differente, implicante la necessità di rapide valutazioni connesse all’esercizio del diritto di difesa (la scelta del rito).


4) La difesa ha chiesto in via principale sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. per il reato di cui all’art. 319 ter c.p. perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; in subordine l’estinzione del reato di cui all’art. 319 c.p. per intervenuta prescrizione; in ulteriore subordine la nullità del decreto che dispone il giudizio per indeterminatezza dell’imputazione.

Si deve rilevare che nel capo di imputazione sono indicati in forma chiara e precisa tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 319 ter c.p., ed ogni doglianza relativa alla effettiva sussistenza di tali elementi nella concretezza del caso in esame attiene al merito del procedimento.

Tale osservazione porta a ritenere assorbita, allo stato, ogni valutazione in ordine alla richiesta subordinata di estinzione del reato di cui all’art. 319 c.p.

Peraltro “non vi è spazio per un proscioglimento da parte del giudice ex art. 129 c.p.p., quale sia stato l’atteggiamento delle parti” (e nella specie il P.M. ha espresso parere contrario) “con sentenza predibattimentale. Il riferimento nell’art.469 c.p.p. all’art. 129 c.p.p. deve ritenersi effettuato solo per escluderne l’applicabilità in sede predibattimentale”: così Cass. Pen. Sezioni Unite, n. 3027/02 del 19.12.01.


5) La difesa ha eccepito la nullità del decreto di citazione a giudizio per violazione dell’art. 37 comma 2 c.p.p. nella parte in cui vieta al giudice ricusato (quale era allora il G.U.P.) di “pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione. L’eccezione è motivata da una ritenuta necessità di interpretazione estensiva del termine “sentenza”, considerato comprensivo di ogni provvedimento decisorio.

Il collegio aderisce all’indirizzo giurisprudenziale, conforme alla lettera ed alla ratio della norma, secondo cui “il limite all’attività giurisdizionale del giudice ricusato è costituito dal divieto di pronuncia della sentenza, con il quale termine non può che intendersi la decisione sul merito della re giudicanda, come peraltro la dottrina che si è occupata del problema ha evidenziato. Da ciò consegue che, dovendosi quel limite intendere in senso stretto, ogni altro provvedimento di carattere ordinatorio, non implicante decisione di merito, può e deve essere adottato dal giudice che, benché abbia dichiarato di volersi astenere o benché destinatario di dichiarazione di ricusazione, ha il potere-dovere di proseguire nell’attività processuale. In questo quadro normativo appare corretta la decisione del g.u.p. di pronunciare il decreto che dispone il giudizio” (Cass. Pen. Sezione IV, 31.10.02 n. 36424).

La difesa ha in subordine eccepito la incostituzionalità della norma per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, argomentando la questione sulla base di alcune decisioni della Corte