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L'equiparazione tra corruzione antecedente e susseguente, sia propria che impropria, ha una sua intrinseca ragionevolezza, perché entrambe condizionano il processo e sono espressione di uno stesso disvalore, risultando ciascuna idonea ad influenzare l'andamento dell'attività giudiziaria 2.

L'interpretazione della disposizione incriminatrice impone quindi l’attribuzione di una valenza anche causale (oltre che finale) all'espressione "per favorire o danneggiare", come se ad essa fosse affiancata anche quella "per avere favorito o danneggiato"; una tale soluzione non contrasta con il principio di tassatività.

La recente e migliore giurisprudenza della Corte di Cassazione 3 ha infatti, con reiterate pronunce, abbandonato la tesi contraria affermata dalla nota sentenza Cass. Sez. VI, n.33435 del 4.5.06, Battistella, richiamata dalla difesa.

L’opzione ermeneutica adottata da questa ultima sentenza introduce infatti una arbitraria interpretatio abrogans di parte del precetto dell'art. 319 ter c.p., che richiama, senza alcuna distinzione, come detto, l'integrale contenuto degli artt. 318 e 319 c.p. La verifica del procedimento integrativo di tali disposizioni ad opera dell'art. 319 ter c.p. qualifica l'elemento soggettivo come dato idoneo a far assurgere a ipotesi autonoma di reato la tipologia un tempo disciplinata quale circostanza aggravante del reato di corruzione (cfr. Sez. 6, 16 novembre 2001, n.45275).

Con la riforma del 1990 è stato introdotto un reato qualificato per le sue specifiche caratteristiche; il richiamo all'integrale contenuto degli artt. 318 e 319 c.p., postula, quindi, la necessità di adattare la struttura della corruzione in atti giudiziari ai modelli richiamati, cosicché l'anticipazione del momento consumativo, che può saldarsi esclusivamente con il dolo specifico (così come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità sopra ricordata, oltre che da una parte della dottrina), diviene fenomeno non adeguato a comprendere l'intera previsione dell'art. 319 ter c.p.

2 Avendo il legislatore del 1990 introdotto un regime di particolare rigore per la corruzione in atti giudiziari, non si spiegherebbe la limitazione del suo intervento alla sola corruzione antecedente e non anche a quella susseguente.

Con la riforma del 1990, la sanzione è stata unificata per la corruzione propria, sia nella forma antecedente che in quella susseguente (cfr. art. 319 c.p. vigente), e mantenuta differenziata per le forme di corruzione impropria (cfr. art. 318 c.p. vigente). Inoltre, nell'anteriore regime, la corruzione in atti giudiziari, sia pure non come reato autonomo ma fattispecie aggravata, era sanzionata nelle due forme (antecedente e susseguente), il che offre pregnanza alla tesi che l'art. 319 ter c.p., inserito nel codice dalla riforma del 1990, ispirata a maggiore rigore, non poteva escludere dal proprio contesto la corruzione susseguente.

3 Ad essa ci si riporta nell’esposizione che segue, utilizzandone anche le argomentazioni: cfr. Cass. Sez. 6, 9 luglio 2007, n. 35118; Cass. Sez. 6, 20 giugno 2007, n. 25418.

D'altro canto, la stessa Corte di Cassazione, in pronunce antecedenti alla decisione contraria sopra ricordata, era uniformemente orientata nel sostenere che anche la corruzione in atti giudiziari "impropria" può integrare il reato di cui all'art. 319 ter c.p., giusto il richiamo ivi contenuto agli artt. 318 e 319 c.p., là dove le utilità economiche costituiscano il prezzo della compravendita della funzione giudiziaria, considerata nel suo complessivo svolgimento, sia trascorso che futuro (Sez. 6, n. 23024 del 4 febbraio 2004), sottolineando l’essenzialità, per l’integrazione del reato dell'accertamento del collegamento causale tra l'erogazione dell'utilità e l’alterazione della dialettica processuale.