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Nella stessa linea si collocano tutte le pronunce che dichiarano la utilizzabilità in altri procedimenti, senza le limitazioni probatorie di cui all’art. 270 c.p.p., delle intercettazioni telefoniche, qualora la comunicazione intercettata costituisca essa stessa condotta delittuosa: in tal caso la sua acquisizione si inquadra nelle norme che regolano l’uso processuale del corpo di reato (così fra le altre Cass. Sezione 6, sentenze n. 14345 del 27 marzo 2001 e n. 15729 del 21 febbraio 2003). Ed ancora: la denuncia di sequestro di persona contenente dichiarazioni autoindizianti non è inutilizzabile ex art. 63 c.p.p. nel processo per simulazione di reato commesso con la presentazione di tale denuncia, processo in cui l’atto è corpo di reato (cfr. Cass. Sezione 5, sentenza n. 45291 del 23 giugno 2005).

Nulla di diverso – e comunque nulla di specifico sul punto – si evince dalla più recente giurisprudenza costituzionale, in particolare dalla sentenza n. 75 dell’11 marzo 2009, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 384, secondo comma, c.p., nella parte in cui la punibilità non è esclusa anche in relazione alle false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria e rese da chi non doveva esser obbligato a deporre o era persona indagata per reato probatoriamente collegato.

E dunque, mutatis mutandis, si deve concludere che le garanzie che circondano il ruolo del testimone sono poste a presidio di un bene costituzionalmente tutelato, il giusto processo, ma non costituiscono una regola immunitaria tesa a salvaguardare qualsiasi testimone, quando la sua stessa deposizione è frutto di corruzione e costituisce reato.

Lo stesso interessato, avvocato, non aveva peraltro all’epoca ritenuto di invocare detta garanzia.

la difesa dell’imputato ha argomentato in favore della natura susseguente della corruzione contestata e della conseguente non punibilità della stessa ai sensi dell’art. 319 ter c.p. – con richiesta di derubricare la condotta in corruzione semplice ex artt. 318 e 319 c.p.

Osserva il collegio che invece è dimostrata dalle prove assunte la natura antecedente delle condotte corruttive giudicate.

Per completezza, si tratterà di seguito anche della astratta configurabilità della fattispecie di corruzione in atti giudiziari susseguente.

La norma contestata, come è noto, punisce il pubblico ufficiale che per il compimento di un atto del proprio ufficio, ovvero per il compimento di un atto contrario ai doveri del proprio ufficio, riceve denaro o altra utilità per favorire o danneggiare una parte in un processo.

Sul piano sistematico si rileva che l'art. 319 ter c.p. esordisce con il richiamo paritario agli art. 318 e 319 c.p., che prevedono anche ipotesi di corruzione susseguente.