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96 macchia grigia

mente il vino dal boccale nel bicchiere de’ suoi avventori, che tiene il pugno al fianco, maravigliato di non trovarvi la spada, e s’è mangiato in qualche mese per darsi il gusto di parere un negoziante in grosso il poco suo patrimonio, e spera di portare le ossa in una grande città degna di lui, lontano dalle piccolezze montanare, dove si sente proprio fuori di posto. L’altro, il segretario comunale, sottile e lungo come il campanile di Garbe: veste da contadino, con la giacchetta e i calzoni di quella certa stoffa lustra color cannella sudicio, ma tiene la giacchetta buttata sulle spalle, mostrando la camicia, che non pare sempre di bucato, e le braccia, e il petto nudi, assai più scuri dell’abito; ha letto Dante, scrive da letterato fino, sa a mente tutte le innumerevoli ordinanze, tutte le infinite circolari prefettizie indirizzate al Comune, che è cosa miracolosa; cita versi e proverbii latini; non ha casa; l’inverno dorme sulla tavola nuda del Consiglio comunale, con una busta dell’archivio per origliere e per coperta il tappeto verde: l’estate dorme sotto il piccolo portico di quella chiesa di San Gottardo, della quale ho parlato indietro, poggiando il capo allo scalino di granito, lungo disteso sulle lastre sconnesse del pavimento, godendosi il vento fresco, che soffia senza interruzione dalla stretta gola dei monti; vive di pane e di cipolle, di polenta e cacio pecorino, ma si compensa con qual-