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macchia grigia | 87 |
spesso mi veniva incontro sino ad Idro, mi trascinava, mi violentava, mi buttava in terra come se volesse sbranarmi.
Certe volte dal suo corpo esalava un odore acre e inebbriante di erbe selvatiche, certe volte un puzzo di capra nauseabondo, e non di rado un fetore di strame, che ammorbava. Insomma invocavo tra me il ritorno del vecchio.
Il giorno innanzi al suo arrivo cercai di preparare Teresa alla mia partenza: le dissi che dovevo andare a Brescia e a Milano, ma mi affrettai a soggiungere che sarei tornato presto, dopo due settimane al più, forse dopo una. Ella non piangeva: tremava tutta, ed era diventata del colore del piombo. Ripeteva con voce strozzata: — Lo so che non torni più, lo so che non torni. — Io promettevo, giuravo, ma ella mi continuava a guardare con gli occhi senza lagrime, e, fatta veggente dalla passione, insisteva: — Non torni più; lo sento qui nel cuore che non torni più. — Non potei cavarle altre parole.
Invece di andare a Brescia o a Milano, tornai a Garbe. Avevo l’anima rosa dal rimorso: tante volte mi sentivo spinto dalla coscienza a correre ad Idro, alla capanna di Teresa; poi gli abbracciamenti suoi, furiosi e disperati, mi facevano paura, e non di meno io non potevo pensare ad altro che a lei. Non sapevo se l’amassi, benchè l’immagine sua mi stesse scolpita sempre davanti. Finalmente, dopo una trentina di giorni, la co-