venne sollevato, portato piano piano alla casa del dottore e adagiato sul letto nella camera della signora Carlina, la quale aveva mandato a chiamare in gran furia il marito lì dove poteva essere a quell’ora, dalla baronessa, nelle osterie. Ella con dita leggiere, trattenendo il respiro, slacciò il goletto del prete, gli sbottonò la sottoveste, e pose la mano sinistra sul petto nudo, spiando le pulsazioni. Le parve di sentire che il cuore battesse; allora, buttatasi con le ginocchia a terra, ripetè più volte: — Il mio buon Don Giuseppe, oh Dio di misericordia, salvatemi il mio buon Don Giuseppe! — Poi tornava subito a sentire se proprio il cuore batteva. Il prete mandò un sospiro così lieve che non avrebbe mosso la fiamma di un cerino; ma la giovine donna che se n’accorse e sulle labbra della quale spuntava il bel sorriso della speranza, avvicinò una guancia alle labbra livide dell’infermo per accertarsi se ne uscisse davvero un poco di fiato. L’infermo respirava, e aprì gli occhi trasognati, ma le membra restarono irrigidite. La prima cosa ch’egli domandò e che la signora Carlina comprese più dal moto della bocca che non dal suono della parola, fu questa: — Il mio Cristo, il mio Crocifisso. — Lo avevano trovato infatti, adagiato accuratamente sopra il fardello nell’oratorio, e lo avevano recato in camera. La signora Carlina, alzandosi in punta di piedi, mise la estremità del braccio inferiore della croce sul cas-